Non può passare sotto silenzio il fatto che oggi ricorra un anniversario importante per il mondo della medicina del dolore. Era un lunedì, il 15 marzo 2010, quando veniva finalmente promulgata la legge 38, che stabiliva dei diritti e sottolineava dei doveri.

I diritti erano quelli del paziente, che aveva diritto a ricevere la migliore cura per il dolore acuto e cronico, degenerativo e oncologico, e per degenerativo si intende, in questa legge, quello che veniva segnalato come dolore benigno. Ma un dolore cronico ovviamente non può mai essere considerato tale.
La legge imponeva anche dei doveri al medico e agli operatori sanitari.
Se i diritti del paziente possono essere riassunti in un'auspicata facilità nell'accesso alla cura per il dolore, i doveri del medico si riassumevano nella necessità, nell'obbligo che il medico, qualunque egli sia, in qualunque struttura pubblica o privata svolga la sua professione, dovesse segnare e misurare la quantità e la qualità del dolore presentato dal paziente. Ma i doveri erano anche destinati all'organizzazione sanitaria che prevedeva centri di eccellenza, i cosiddetti Hub, preposti a erogare interventi diagnostici e terapeutici ad alta complessità, supportati da centri Spoke, una rete di servizi territoriali che operano in regime ambulatoriale.

Questa legge è la prima legge al mondo sull'accesso alla terapia del dolore e sulla distinzione tra dolore oncologico e dolore non oncologico, il dolore degenerativo. Una legge molto bella, molto ben scritta che presenta e ha presentato in questi dieci anni molte luci e moltissime ombre.
Le luci sono quelle che hanno finalmente sollevato nei medici la necessità, l'opportunità di segnare e segnalare la qualità e la quantità del dolore, perché un dolore cronico, specialmente non riconosciuto, non trattato, è portatore di conseguenze sistemiche su organi e apparati, cardiovascolare, respiratorio e genitourinario, gastrointestinale ecc. e quindi si hanno delle conseguenze cliniche e che possono derivare dal dolore non rilevato e non trattato. Dall'altra parte però la legge prevedeva, e prevede tuttora, l'organizzazione di una rete di centri di primo e di secondo livello, di centri dove possano arrivare pazienti con situazioni particolarmente complesse, particolarmente difficili, che richiedono approcci invasivi di strettissima pertinenza anestesiologica, e invece centri, come dicevo prima, di minore complessità clinica e terapeutica.  Se le luci dei diritti del paziente e dei doveri del medico sono in gran parte state raccolte, sono state illustrate, sono state distribuite sul territorio nazionale, per il secondo, i doveri dell'organizzazione sanitaria nazionale hanno molte ombre perché eccetto rare eccezioni, non hanno ricevuto l'organizzazione che è la legge riceveva.
Una seconda considerazione riguarda il risveglio perché questa legge ha risvegliato nella coscienza del medico più di un dovere, una necessità deontologica, una opportunità clinica, perché riconoscere e conoscere il dolore non solo allevia le sofferenze del paziente che abbiamo di fronte ma ne facilita la guarigione, anche per patologie diverse da quelle che hanno comportato il dolore. E poi più che un risveglio, la nascita di una coscienza da parte dei pazienti che man mano che passa il tempo vengono a conoscenza di questo dettato di legge e quindi giustamente richiedono e giustamente pretendono che il loro dolore sia misurato, valutato, classificato, quindi trattato e quindi ridotto.

Nel 10º anniversario della legge 38 del 15 marzo 2010 ci possiamo porre due domande, soprattutto in questo periodo così particolarmente difficile, dominato dalla pandemia da coronavirus. 
Molto di questo è stato già esposto in maniera eccellente dal collega infermiere magistrale che ha postato un suo intervento che abbiamo pubblicato sul sito AISD. Questa rinnovata coscienza, permettetemi di dire, di unità nazionale, ma più che unità nazionale e oltre che unità nazionale, una unità di intenti, ci ha fatto sentire molto vicini, i pazienti ai medici, agli operatori sanitari e gli operatori sanitari e i medici ai propri pazienti, proprio perché la nazione sta attraversando questo momento molto difficile, e questo non potrà che avere delle ricadute anche sul dolore, sui pazienti che soffrono di dolore, sull'applicazione della legge 38. Quello che invece considero non una possibilità, ma un dovere è che le Autorità centrali, il Ministero della Salute e la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Parlamento, gli organi legislativi, che devono poi licenziare delle linee guida di applicazione di una legge che, ripeto, è una legge bellissima, l'unica legge al mondo di questo tipo mai promulgata, le organizzazioni regolatorie, legislative hanno l'obbligo, non solo legislativo ma un obbligo morale, un obbligo etico, di realizzare quella rete per l'assistenza al paziente con dolore che ci possa finalmente far dire l"'Italia è un Paese che ha a cuore i pazienti con dolore, misura il loro dolore, valuta il loro dolore, classifica il loro dolore e finalmente lo tratta nel miglior modo possibile, secondo le linee guida nazionali e internazionali per alleviare le sofferenze non solo fisiche ma anche psicologiche di coloro che soffrono." Così come speriamo di poter dire fra poche settimane che "l'Italia è libera da coronavirus".

L'augurio che facciamo a tutti noi è di vedere finalmente, compiutamente e completamente applicata la legge 38 del 15 marzo del 2010. 

Oggi è una splendida domenica di sole da dove vi scrivo e parlo, dall'Umbria, e auguro a tutti voi ogni bene e  la speranza di ottenere questi due obiettivi.

Un caro saluto, un abbraccio a tutti.

Prof. Stefano Coaccioli
Presidente Associazione Italiana per lo Studio del Dolore
15 marzo 2020
 

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